Di riforma del catasto si parla da almeno 10 anni. Aggiornare un sistema datato 1939 è più che necessario per definire il valore odierno degli immobili sulla base del prezzo al metro quadro, della tipologia e delle caratteristiche edilizie. Cambiare le regole in vigore da tanti anni però è tutt’altro che semplice, perché alla rendita catastale equivale una tassazione adeguata e accadrà che chi è proprietario di un immobile oggi di pregio, ma catalogato una volta come popolare, dovrà pagare fino a dieci volte di più.
A parte i malumori dei contribuenti, i governi che in questi anni hanno cercato di portare a termine la riforma si sono confrontati con il peso politico di questa decisione e più di una volta hanno cancellato i progetti di rinnovamento a un passo dall’approvazione. Proprio come è successo di recente: la legge delega di riferimento era stata inserita in Gazzetta Ufficiale il 12 marzo 2014 e Palazzo Chigi aveva 1 anno per approvare i decreti attuativi della nuova norma.
Tempo che è trascorso senza che alcuna decisione venisse presa. L’ultima speranza perché il nuovo catasto possa vedere la luce entro il 2020 è contenuta nella legge di stabilità 2016. Un manovra finanziaria da 27 miliardi di euro su cui il governo ha iniziato a lavorare e che dovrà essere approvata entro la fine dell’anno dai due rami del Parlamento. Intenzione del Premier Matteo Renzi è di ridurre le tasse cancellando Tasi, Imu agricola e Irap agricola. In questo modo si abbasserà la pressione fiscale e una riforma del catasto potrebbe essere accolta con meno ostilità. L’unica certezza è che anche la Commissione Europea ha lamentato a maggio la lentezza con cui il governo sta portando avanti l’iter di modifica e si è raccomandata che la tassazione sulla casa sia la più equa possibile per alleggerire il peso fiscale sulle famiglie più in difficoltà.